domenica 17 febbraio 2013

Considerazioni libere (338): a proposito di una cosa impensabile...

Affronto il tema con una certa cautela, perché - come sanno i miei consueti lettori - sono ateo e penso che, se, come laici, pretendiamo giustamente che le religioni non influeinzino le decisioni politiche e le basi costituzionali della nostra comunità, allo stesso modo sia sbagliato che proprio noi che non crediamo ci mettiamo a discettare su questioni teologiche e dottrinali. Il rispetto verso chi sinceramente crede passa anche attraverso questa sospensione di giudizio. Eppure l'abdicazione di Benedetto XVI è stato un evento così fragoroso che è praticamente impossibile da eludere e interroga anche noi che non siamo cattolici.
In generale non mi piace scrivere una "considerazione" subito dopo che è successo qualcosa, cerco di evitare le reazioni immediate, a caldo, e trovo più opportuno aspettare qualche giorno, per poterci riflettere meglio. Devo dire che in questo particolarissimo caso la prima impressione che ho avuto lunedì mattina, appena ho saputo la notizia, è quella stessa che ho ancora in questi giorni. Le dimissioni del papa, pur giuridicamente e canonicamente previste, erano impensabili fino a lunedì mattina. La scelta di Giovanni Paolo II di non lasciare il pontificato, pur essendoci evidenti ragioni, che avrebbero reso questa decisione comprensibile, ragionevole e forse anche auspicabile, aveva indubbiamente ribadito un elemento per così dire intrinseco a quel ministero: si smette di fare il papa solo quando si muore. Così era sempre stato e pareva che così sarebbe sempre stato. Per inciso anche l'unico precedente storico di dimissioni papali, quelle date da Celestino V, furono vissute come una ferita, tanto da far meritare la condanna da parte di Dante ai due protagonisti della vicenda, il papa dimissionario e quello che quelle dimissioni provocò, salendo a sua volta al soglio di Pietro. Naturalmente solo l'insipienza dei giornalisti italiani - quelli attuali naturalmente, non i gazzettieri del Trecento - poteva ricollegare questi due episodi, dedicando particolareggiati articoli al povero Pietro da Morrone. Ecco se Dante scrivesse oggi la Commedia dovrebbe dedicare un intero girone solo ai giornalisti pigri, che si limitano a ripetere quello che viene scritto e detto dagli altri. Dalle dimissioni di Celestino V a oggi sono passati - non invano - solo 719 anni e un paragone tra i due episodi mi pare alquanto azzardato.
Al di là di questi anacronistici precedenti storici, da lunedì le dimissioni del papa sono non solo teoricamente possibili, ma anche storicamente e concretamente pensabili. E quando una cosa impensabile smette di essere tale significa che anche altre cose impensabili possono diventare possibili. Mi è venuto in mente quello che è successo in Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. Per secoli quel popolo aveva considerato il proprio imperatore come un dio. Immagino che effetto ebbe per chi credeva alla discendenza divina del mikado sentire per radio la "dichiarazione della natura umana dell'imperatore", fatta dallo sconfitto Hirohito, costretto a ciò dal vincitore MacArthur. Da quel giorno qualcosa è irrimediabilmente cambiato nella storia del Giappone; credo in meglio. Io credo che le dimissioni di Benedetto XVI siano destinate a cambiare in maniera profonda la chiesa cattolica. In questi giorni ho letto - come voi immagino - molte interpretazioni della decisione di Joseph Ratzinger, alcune francamente fantasiose, altre più plausibili. Naturalmente si sono scatenati i "retroscenisti" in servizio permanente ed effettivo; anche per costoro servirebbe un apposito girone infernale. Sinceramente credo che l'indagine delle cause, delle motivazioni che hanno spinto il papa a prendere questa decisione, a questo punto sia piuttosto inutile. Adesso la cosa più interessante e utile è provare a studiarne le conseguenze. Io credo che sarebbe sottovalutare gravemente l'intelligenza di Ratzinger pensare che non si sia reso conto di fare un gesto impensabile, dalle conseguenze imprevedibili. Che l'abbia fatto perché si considera sconfitto o perché voglia dare una scossa al corpo della chiesa lo sa lui e su questo dobbiamo rispettarlo.
Penso anche che noi non credenti, noi atei, potremo fare qualcosa di utile per accompagnare questo percorso, che in qualche modo coinvolge anche noi, dal momento che la religione cattolica è un elemento fondante - non il solo, naturalmente, ma certo uno di quelli importanti - della nostra cultura. Forse non faremo un gran servizio a questo cambiamento se cominceremo da subito a criticare il nuovo papa. Siamo realisti: non è che tra un anno l'omosessualità non sarà più considerata un peccato e le donne potranno diventare sacerdoti. Se ci aspettiamo questo possiamo anche cominciare a pensare ad altro. Se misureremo la velocità del cambiamento soltanto con il nostro metro di giudizio - che peraltro non è detto che sia quello giusto - non solo non riusciremo a capire quello che davvero si muove all'interno della chiesa - che non è un monolite, ma una struttura molto complessa, fatta di elementi molti diversi tra di loro - ma forse rischieremo perfino di danneggiare i progressi, perché le forze che inevitabilmente tenderanno a chiudersi nella difesa del vecchio, vedranno in queste ingerenze secolari un motivo in più per osteggiare le novità in cammino. Proviamo allora a guardare a quello che succede nella chiesa con occhi non velati dalla polemica. Tra l'altro questo cambiamento si svolgerà a livello mondiale, globale, e probabilmente la nostra visione "illuminista" europea non è neppure la più adatta a percepire cambiamenti che si svolgeranno secondo categorie non rigorosamente figlie della nostra cultura. Qualcosa del genere sta succedendo, pur mutando gli ambiti e i temi, nella nostra sostanziale incapacità di capire in che modo si sta evolvendo il mondo arabo, tra la spinta delle "primavere" e la reazione di un sentimento religioso che vede i pericoli nel "progresso" occidentale. L'ho scritto tempo fa per commentare una tragica vicenda; io naturalmente condanno il padre musulmano che è arrivato a uccidere la figlia perché voleva essere "occidentale", ma non posso neppure difendere il "modello occidentale", che valuta la donna soltanto per il suo aspetto esteriore e per quanto sia capace di mostrarsi "disponibile" verso gli uomini, che possono decidere la sua carriera e la sua affermazione professionale. Naturalmente penso che una chiesa diversa, meno europea, meno conservatrice, meno ossessivamente concentrata sui temi della morale sessuale, finalmente aperta al protagonismo delle donne sarebbe una ricchezza per tutti, per chi crede come per chi non crede. Deve essere però una chiesa che ci aiuta a cambiare dalla fondamenta una società che non ci piace, che sta crescendo senza valori, senza un'etica. I temi su cui incontrarci sono molti, dal riconoscimento della dignità della donna al rispetto per altri, dalla critica a uno sviluppo basato dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo alla difesa della natura come risorsa per il nostro futuro. Mi pare che questa chiesa, la chiesa che Joseph Ratzinger lascerà il prossimo 28 febbraio, non sia in grado di contribuere in maniera efficace a questo cambiamento delle coscienze, anzi temo che la sua rigidità e il suo conservatorismo su troppi temi sia un alibi per chi non vuole cambiare. Per questo voglio avere qualche speranza nella chiesa che ci sarà.

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