giovedì 7 novembre 2013

Verba volant (5): puttana...

Puttana, sost. f.

Probabilmente non serve questo dizionario a definire un termine, il cui significato è sin troppo noto.
Siete lettori adulti e vaccinati, e sapete come vanno le cose del mondo. Forse qualcuno di voi è - o è stato - un "utilizzatore finale", magari qualcuno ha svolto - o svolge - questa professione: soprattutto da voi, magari approfittando dell'anonimato della rete, spero arrivino interventi e commenti.
A scanso di equivoci, non voglio riferirmi alle tante puttane intellettuali, ossia a quelli che hanno venduto la propria intelligenza al pensiero dominante; in questi giorni ne vediamo parecchi all'opera. Di questi, forse, mi occuperò un'altra volta.
Voglio parlare delle puttane vere e proprie, quelle che si dice facciano il mestiere più antico del mondo.
L’argomento è – come noto – sempre di moda, tanto più nel nostro paese, dove abbondano i figli di puttana; per tacere del rilievo politico del tema.
Da alcuni giorni pare se ne parli ancora di più, dal momento che i mezzi di informazione hanno scoperto che ci sono puttane minorenni. A dire la verità, ci sono sempre state, ma evidentemente non sono mai riuscite a diventare una notizia. Ci sono puttane minorenni straniere e povere – di questo continuiamo a non occuparci – e puttane minorenni italiane, alcune povere e altre di buona famiglia; quest’ultimo tipo crea malcelati imbarazzi. Proprio intorno alle storie, complesse e difficili, di queste ragazze, cresciute troppo in fretta, si è alimentato l’interesse, più o meno morboso, piu o meno scandalizzato, del mondo dell’informazione.
Al di là della compagnia di giro degli opinionisti, di quelli che – proprio perché non si intendono di nulla – parlano di tutto, devo riconoscere che sul tema si è cominciato a parlare anche in maniera seria. Penso ad esempio alle riflessioni fatte dalla preside e dalle insegnanti delle due ragazze di Roma, che hanno provato a capire cosa stava succedendo, anche mettendo in discussione il proprio lavoro. In tanti, in maniera approfondita e non occasionale, stanno provando a chiedersi cosa spinga queste ragazzine a prostituirsi. Ieri ho sentito che sul tema è intervenuto il vescovo dell’Aquila, che considera la crisi economica come un elemento scatenante di questo fenomeno; e su questo credo abbia una parte di ragione.
Perché le ragioni sono molte e diverse: c’è una superficiale sottovalutazione dei rischi e c’è soprattutto una cultura che sopravvaluta la bellezza e la sensualità e ne fa degli elementi di promozione sociale ed economica. È importante ragionare, senza preconcetti, di tutto questo, per capire a che punto siamo arrivati e dove rischiamo di scendere ancora.
Chi ha il compito di educare i giovani deve farsi queste domande; e su un tema come questo le famiglie non devono essere lasciate sole nella loro riflessione e nel loro impegno quotidiano. Io credo però che non sia sufficiente.
A me interessa ribaltare l’ottica, provando a rovesciare la domanda. Non mi basta sapere perché alcune ragazze – e anche alcuni ragazzi – accettano di prostituirsi, magari per una ricarica telefonica, ma voglio sapere perché molti uomini adulti – e qui la questione credo sia esclusivamente maschile – sentono il desiderio di avere rapporti sessuali con persone che potrebbero essere le loro figlie o le loro nipoti. Affrontare questo tema partendo dalle storie delle ragazze mi sembra come cercare di guarire una malattia, intervendo soltanto sui sintomi, senza cercare le cause.
So che può sembrare un paradosso, ma in questo rapporto chi è quello che ha più problemi? L’uomo o la ragazzina? Secondo me l’uomo, che si eccita soltanto in un rapporto squilibrato per età, posizione sociale, ruolo. Naturalmente ciò non toglie che la vittima di questo rapporto rimanga la ragazza, che affronta, probabilmente in maniera inconsapevole, qualcosa che è decisamente più grande di lei. Dire che l’uomo che va con le ragazzine ha dei problemi, che è una persona malata, non significa assolverlo dalle sue colpe – che rimangono tutte e che devono essere punite, con maggiore durezza di quanto avvenga oggi – ma riconoscere dove sta il vero problema.
E, come nei casi di violenza, il problema non sta nelle donne, nei loro atteggiamenti o nella loro libertà, ma nelle nostre debolezze, nei nostri deficit di maschi adulti, che non sappiamo affrontare in maniera serena un rapporto d’amore, nelle sue varie forme, e troppo spesso decidiamo di comprarlo o di prenderlo con la violenza. E l’uomo che va con una puttana, maggiorenne o minorenne che sia, si assolve proprio usando questa parola; pensa e dice: tanto è una di quelle. Invece è lui a essere uno di quelli.
E questo è qualcosa che non riguarda solo chi va a puttane, ma tutti noi, tutti noi uomini. Dobbiamo avere il coraggio di dire che chi va con una ragazzina è una persona con dei problemi, molti problemi, e soprattutto dobbiamo avere il coraggio di chiedere aiuto.

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