mercoledì 11 dicembre 2013

Verba volant (27): nostalgia...

Nostalgia, sost. f.

Non è facile definire un sentimento, ed è tanto più difficile definire la nostalgia, perché spesso quello che io posso ricordare con nostalgia a voi può suscitare ricordi completamente opposti, e viceversa.
Ho deciso di definire questa parola per raccontare la nostra piacevolissima gita di domenica scorsa a Brescello. I due "direttorissimi" di Laboratorio Politica Bologna, Antonella Cardone e Filippo Manvuller, hanno proposto di incontrarmi e ho suggerito una meta più o meno equidistante per loro due, appunto il paese della bassa reggiana che venne scelto da Julien Duvivier per gli esterni di Don Camillo. Quel paese è diventato in breve lo scenario ideale di quei film: la piazza, la chiesa, la stazione, i portici con le piccole botteghe, gli argini del Po sono ormai elementi familiari per chi come me - e come moltissimi altri - ama quei film. Brescello conserva con garbo il ricordo di quell’avventura che portò il cinematografo fino agli argini del grande fiume.
Filippo ha raccontato nel suo articolo e con le sue foto le impressioni di quella giornata, che è stata soprattutto occasione per divertirci - e per mangiare - tra amici. Io la racconto in un altro modo, quello in cui sono - più o meno - capace.
Naturalmente Brescello è adesso un paese molto diverso da quello raccontato dai film. Filippo ne ha parlato in un altro articolo, dedicato in particolare all’infiltrazione della ‘ndrangheta. La piazza appare oggi sproporzionata rispetto al paese, troppo grande e troppo vuota: sono altri ormai i luoghi dello stare insieme; immagino che la domenica pomeriggio i brescellesi la trascorrano nei centri commerciali e nelle multisale della bassa. In giro eravamo solo noi turisti, e facevamo attenzione a non farci inghiottire dalla nebbia.
Passeggiare per le vie di Brescello, farsi la foto ricordo con le statue di Peppone e don Camillo o davanti al carro armato, è un modo per ricordare quei film divertentissimi, due grandi attori come Fernandel e Gino Cervi, e naturalmente i libri di Giovannino Guareschi, ma è anche l’occasione per ripensare ad un’Italia che non c’è più, se mai c’è stata.
Guareschi prima e poi chi dalle sue opere ha tratto le sceneggiature dei cinque film della serie - al di là del fatto che queste rispetto a quelle sono meno aspre, più politiccaly correct diremmo oggi - non ha voluto omettere gli aspetti più drammatici della vita di quei luoghi in quegli anni: la miseria di un paese uscito da poco dalla guerra, la fatica del lavoro dei campi e nelle stalle, il pericolo sempre incombente rappresentato dal fiume, la durezza degli scontri sociali, gli scioperi, i picchetti, scontri in si può anche morire, come succede al giovane compagno i cui funerali sono accompagnati dai rintocchi delle due campane, quella del prete e quella dei comunisti. Ha senso avere nostalgia di quel mondo là, un mondo che era effettivamente piccolo, troppo piccolo, in cui non ci si muoveva né geograficamente né socialmente? Si può avere nostalgia di quel tempo di fatiche e di lotte? Probabilmente no. E’ meglio adesso, nonostante tutto. Anche se non c’è più nessun sindaco come Peppone e sono rarissimi i preti come don Camillo.
Però, dopo che sei stato un giorno a Brescello e hai ripensato a quel mondo lì, senti - anche confusamente - che qualcosa ti manca.

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