giovedì 12 gennaio 2017

Verba volant (339): ex...

Ex, prep lat.

Barack Obama sta per diventare l'ex presidente degli Stati Uniti; probabilmente sarà il migliore ex presidente della storia recente di quel paese. E' giovane, immagino riuscirà ad avere ancora un'influenza nella vita pubblica di quel paese, potrebbe perfino diventare il marito - o il padre - di una futura presidente.
E' ovviamente presto per tracciare un bilancio della sua presidenza, ma credo si possa dire che il suo mandato si chiude con una sconfitta molto pesante: il fatto che il suo successore sia una persona come Donald Trump è il fallimento più grande di Obama, qualcosa che lo consegnerà - non certo come avrebbe voluto - alla storia, insieme al fatto che è stato il primo presidente nero degli Stati Uniti. I simboli contano in politica - Obama, che è persona intelligente, lo sa bene, e immagino che lo stesso Trump lo intuisca - spesso contano più delle cose che si fanno o non si fanno. Otto anni fa l'ingresso di Obama alla Casa bianca è stato un evento che ha segnato nel profondo quel paese, dove la questione razziale ha ancora un peso, un peso tanto rilevante che Trump è stato eletto anche in forza di una sorta di reazione alla presidenza di Obama. Trump ha vinto le elezioni anche perché è un maschio bianco, per quanto molti dei suoi elettori non siano disposti ad ammetterlo.
Obama ha detto nel suo discorso d'addio che lascia un'America migliore di quella che ha trovato otto anni fa. E' legittimo che lo pensi ed è naturale che lo dica, ma mi verrebbe da dire che proprio l'elezione di Trump è il segno che si tratta di una frase retorica, destinata a scaldare gli animi dei suoi molti sostenitori, ma poco aderente alla realtà. Proprio la questione razziale rimane come una ferita che attraversa quel grande paese: e si tratta di una ferita non solo metaforica perché in questi otto anni tanti giovani ragazzi di colore e ispanici sono rimasti uccisi in scontri con la polizia e, più spesso, solo a seguito di controlli o di fermi ingiustificati. Essere nero negli Stati Uniti non è facile oggi come non lo era otto anni fa. La vicenda personale e politica di Obama è una storia diversa, troppo diversa, da quella che si vive nelle periferie delle città americane, perché in fondo la presidenza Obama non ha inciso sulla divisione più profonda della società degli Stati Uniti, come della nostra, tra poveri e ricchi.
Puoi anche essere nero, ma se sei ricco, se sei famoso, se sei bello, allora vieni accettato, sei un idolo, sei uno che può diventare perfino presidente, ma se sei povero, anche se sei bianco, allora non hai nessuna possibilità. E su questo Trump ha giocato le sue carte con abilità. Ma se sei nero di possibilità ne hai, se possibile, ancora meno.
Otto anni fa ci siamo emozionati a vedere quel giovane uomo di colore giurare sulla Bibbia appartenuta ad Abramo Lincoln. Poi, come spesso ci succede, abbiamo fatto l'errore di credere che un passo avanti così importante nel campo dei diritti civili avesse un significato anche nel campo dei diritti sociali. Non è stato così, non poteva essere così, perché non ti fanno diventare presidente degli Stati Uniti se sei un vero progressista e soprattutto perché Obama era ed è un moderato, uno che pensa che il governo possa servire a tutelare almeno un po' le fasce più deboli della società e a controllare solo gli eccessi più macroscopici degli spiriti animali del capitalismo. Invece in questi otto anni, forse ancora di più che in quelli precedenti, il capitalismo ha rotto ogni freno, non solo in America, ma soprattutto in altre parti del mondo, a partire dalla Cina. E Trump è il rappresentante di questi appetiti sfrenati - basta guardare chi ha scelto nella sua amministrazione. Poi vedremo se i capitalisti delle due sponde del Pacifico decideranno di combattersi o - come è più probabile - di allearsi, ma per entrambe queste scelte non era adatto uno come Obama, serviva uno come Trump, uno che garantisse di più e meglio gli interessi del capitale. Mentre i poveri degli Stati Uniti, i bianchi e soprattutto i neri, continueranno a essere poveri, più poveri, e soprattutto continueranno a credersi responsabili a vicenda della propria povertà, nella lotta sempre più sanguinosa tra gli ultimi e i penultimi, in cui l'unico vincitore è sempre chi siede in alto.
Per risolvere questo nodo Obama non ha fatto nulla in questi otto anni. Magari ci rifletterà nella sua nuova vita da ex.

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