lunedì 6 febbraio 2017

Verba volant (346): foiba...

Foiba, sost. f.

E le foibe? Quante volte mi sono sentito buttare addosso questa domanda, mentre ricordavo a qualcuno i crimini fascisti? Ormai ho perso il conto. E quante volte mi sono messo sulla difensiva, tentando di rispondere a questa domanda? Non lo farò più, perché non ne ho più voglia, perché è una domanda che viene fatta solo per provocare e non prevede una risposta.
Sostanzialmente per lo stesso motivo ho deciso di non partecipare più a nessuna iniziativa istituzionale per il Giorno del ricordo, ho deciso che in questa giornata non scriverò più delle riflessioni su questo tema, cercando comunque di contestualizzare quegli avvenimenti, di darne una spiegazione, mettendomi ancora una volta sulla difensiva. Non perché quei fatti drammatici non meritino di essere ricordati, anzi credo che occorra studiarli ancora di più. E soprattutto perché ho troppo rispetto per la memoria per trattarla così.
Però bisogna anche cominciare a dire le cose senza ipocrisie: il Giorno del ricordo è una "festa" che hanno voluto i fascisti e io non ho voglia di partecipare a una festa di quella gente lì. Hanno voluto questa manifestazione non perché importi loro qualcosa di quel dramma, di quel popolo che si ritrovò esule, ma essenzialmente per avere anche loro qualcosa da festeggiare, visto che le altre feste civili di questo paese sono tutte, giustamente, contro di loro. E per aver qualcosa di cui accusarci. Io a questo gioco non mi presto più. E credo che sia stata una grave debolezza concedere loro questa data, accettare di metterci sul banco degli accusati, quando non abbiamo nulla di cui vergognarci. Non è un caso che l'istituzione di questa festa civile sia avvenuta negli stessi anni in cui la sinistra si è suicidata: anche questo ne è un indizio, che allora non abbiamo voluto capire fino in fondo. Questa festa è stata voluta negli anni in cui si è diffusa l'idea che la pacificazione avrebbe migliorato questo paese, l'avrebbe fatto crescere; io non ho mai creduto alla pacificazione, con certa gente non possiamo fare pace, dobbiamo continuare a disprezzarli, come meritano.
Vogliamo parlare di cosa ha significato la seconda guerra mondiale per milioni di donne e di uomini, che quel conflitto lo hanno subito per così tanti anni? Vogliamo raccontare le storie dei milioni di persone che, alla fine della guerra sono state costrette a lasciare i loro paesi perché, specialmente nell'Europa centrale e orientale, i confini sono stati tutti ritracciati, in maniera radicalmente diversa da prima? Alla fine del conflitto, in gran parte dell'Europa continentale è cominciato questo movimento di popoli, di donne e di uomini che, come i frammenti di un caleidoscopio, dovevano trovare una nuova sistemazione; e migrazioni del genere, specialmente quando avvengono in contesti così drammatici, si portano sempre dietro morte e dolore. Vogliamo parlare di cosa ha rappresentato la violenza nella prima metà del Novecento? La lotta politica era intrisa di violenza, è qualcosa che può non piacerci, che non deve piacerci, ma non possiamo fare finta che non sia così, altrimenti non capiamo né lo squadrismo fascista né le violenze dei partigiani né l'odio che subirono queste persone nel loro viaggio di ritorno in Italia, con episodi - come quello avvenuto alla stazione di Bologna - di cui francamente non possiamo che vergognarci.
C'è molto da raccontare su quegli anni, da capire, da studiare, anche con l'ambizione di scoprire qualcosa di nuovo e senza la paura di abbattere dei miti che sono stati costruiti nei decenni successivi. Però c'è un punto fermo e, se si toglie quello, cade tutto e non si capisce più nulla: in quel conflitto c'era una parte giusta e c'era una parte sbagliata, c'erano i fascisti e c'erano quelli che combattevano contro i fascisti. Io so da che parte stare e lo voglio ricordare, tutti i giorni.

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